Economia fuori posto | Perché è aumentata così tanto l’inflazione (e quanto durerà)
- Alberto Chiumento
- 20 nov 2021
- Tempo di lettura: 4 min
(Questo articolo è stato pubblicato su Linkiesta.it il 20 novembre 2021)

I problemi energetici e le difficoltà del commercio globale stanno facendo salire vertiginosamente il livello dei prezzi, sempre più alti ogni mese dall’inizio del 2021. Ma per le Banche centrali occidentali è solo un effetto temporaneo, che passerà gradualmente
In Italia l’inflazione sta tornando ad essere un fattore da tenere in considerazione, dopo anni di bassa inflazione o addirittura di inflazione negativa. I dati pubblicati martedì dall’Istat descrivono in modo netto la crescita del livello dei prezzi in Italia, che a ottobre ha registrato un aumento del 3% su base annua, superando il 2,5% raggiunto a settembre. È difficile ipotizzare che si tratti di un evento isolato, dato che l’inflazione è aumentata in ogni mese dall’inizio del 2021.

Le Banche centrali, che sono in grado di influenzare l’andamento dell’inflazione tramite gli strumenti di politica monetaria, monitorano attentamente questo fenomeno. Sia la Banca Centrale europea sia quella americana (Federal Reserve) hanno ripetuto che l’inflazione è temporanea. Ma la definizione è piuttosto ambigua: non hanno infatti specificato per quanto tempo si aspettano che prosegua l’aumento dei prezzi. Inoltre, la persistenza dell’inflazione ha fatto dubitare molti osservatori sul reale carattere transitorio.
La diffusione geografica dell’inflazione è invece ben riconoscibile e coinvolge moltissimi Paesi. Eurostat si aspetta un livello di inflazione pari al 2,5% nel 2022 per l’Unione Europea, mentre a ottobre negli Stati Uniti l’inflazione ha raggiunto un massimo (+6,2 su base annua) che non si osservava da trent’anni.
Anche molte economie non occidentali convivono con l’aumento dei prezzi. In Russia, si stima che l’inflazione a fine anno possa raggiungere l’8%, mentre in Cina – i cui dati non sono sempre affidabili – l’indice dei prezzi alla produzione è aumentato del 10,7% a settembre (entrambi i dati sono su base annua).
Le cause alla base dell’inflazione sono diverse e l’elevato grado di interconnessione economica tra le nazioni le rafforza. Tra queste, la principale è sicuramente l’aumento dei prezzi dell’energia. Secondo Istat, una larga parte (24,9%) dell’aumento inflattivo di ottobre è dovuto ai prezzi dei beni energetici, la cui componente regolamentata è cresciuta del 42,3%, mentre quella non regolamentata si è fermata al 15%. Secondo la Bce, inoltre, l’energia è il principale driver dell’inflazione da oltre 5 mesi.
Il costo dell’energia è aumentato per diversi fattori: lo scorso inverno è stato particolarmente rigido e prolungato portando all’utilizzo di molte riserve; La Russia, che tramite Gazprom fornisce un terzo del gas che viene consumato in Europa, ha limitato – anche per ragioni geopolitiche – i rifornimenti all’Europa; infine, la ripartenza delle industrie cinesi post Covid-19 ha ampliato il loro bisogno di energia, calamitando gran parte dell’offerta.
L’uscita dalla fase più intensa della pandemia è un’altra causa dell’inflazione. Attualmente i prezzi sono spinti verso l’alto perché la domanda per beni e servizi non è pareggiata dall’offerta. Il settore industriale infatti fatica a soddisfare le richieste dei consumatori, che dopo molti mesi di restrizioni ai movimenti, stanno tornando a spendere. Inoltre, la liquidità distribuita dai governi durante la pandemia tramite sostegni e bonus comporta che molte persone e imprese abbiano risorse economiche aggiuntive da spendere.
La lentezza con cui l’offerta si sta adeguando alla forte crescita della domanda è dovuta ad aspetti pratici del commercio mondiale, come le difficoltà nel trovare container per trasportare le merci e i lunghi tempi di attesa per le navi per entrare in molti porti. Queste difficoltà si ripercuotono anche sui prezzi delle materie prime, il cui reperimento spesso è complicato. L’ufficio studi di Confindustria segnala che il prezzo del rame del 62%.
In Italia, inoltre, il mercato del lavoro sta vivendo grossi cambiamenti. Il fenomeno delle dimissioni volontarie non è certo ampio come negli Stati Uniti, ma attualmente c’è carenza di camionisti: i sindacati dicono che mancano circa 18mila addetti per permettere al settore di lavorare a pieno regime.
Come gestire quindi l’aumento inflazionistico? In primo luogo, una normalizzazione dei prezzi dell’energia aiuterebbe immediatamente. Non sembra però una soluzione plausibile. Ieri infatti il prezzo del gas sui mercati finanziari è salito del 19%, quando la Germania ha annunciato di aver sospeso la procedura di certificazione del gasdotto Nord Stream 2 (che è pronto a portare il gas russo in Germania) per alcuni irregolarità burocratiche. Per comprendere il peso dei beni energetici sul livello dei prezzi, senza questi l’inflazione è aumentata in Italia di solo 1,1%, secondo i dati Istat.
Oltre a questo, sono due i fattori che permetteranno di superare questa fase. Il primo riguarda un aggiustamento a livello industriale, che nei prossimi favorirà il riequilibrio tra l’offerta delle imprese e i consumi. Inoltre, la liquidità fornita dai governi per superare i lockdown esaurirà la sua spinta.
Il secondo invece è rappresentato dalle Banche centrali perché esse hanno gli strumenti per influenzare le aspettative di inflazione. Attraverso annunci puntuali sarà possibile per loro gestire il livello dei prezzi e accompagnare la ripresa economica fuori dalle politiche ultra espansive in corso. Il rischio è di farlo con eccessiva fretta, ma Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, non sembra preoccuparsene molto.
Durante l’audizione al Parlamento europeo di martedì ha ribadito con forza il carattere temporaneo dell’inflazione, che sarà superato grazie all’allentamento delle strozzature alle catene di approvvigionamento globale. La Banca centrale europea può inoltre modificare il livello di liquidità nell’economia europea riducendo gli acquisti di titoli sul mercato finanziario. La Fed ha già avviato questo processo ma resta in attesa di capire se il presidente Jerome Powell riceverà un secondo mandato, visto che il suo incarico è in scadenza a febbraio.
Entrambe le banche centrali hanno lasciato intendere che almeno nei prossimi sei mesi non verranno toccati i tassi d’interesse. Significa quindi che la ripresa economica non è ancora completa, ma che al controllo dell’inflazione si preferisce favorire l’aumento del livello di occupazione.
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