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Il vero punto sulla Nuova Via della Seta

  • Alberto Chiumento
  • 7 mag 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Opportunità commerciale da non perdere o obbligo di difendere le proprie infrastrutture dal Dragone cinese? In tal modo si è divisa l’opinione pubblica italiana durante la visita di Xi Jinping in Italia. L’obiettivo del viaggio del capo di stato cinese era rafforzare i caposaldi dell’amicizia sino italiana così da giungere alla firma del Memorandum of Understanding, documento che definisce impegni e obblighi da entrambe le parti per la collaborazione alla Nuova Via della Seta.


Il nome ufficiale è BRI, “Belt and Road Initiative” e indica il mastodontico progetto di creazione di un canale commerciale che colleghi la Terra di Mezzo con l’Europa, come faceva l’originaria Via della Seta svariati secoli fa. Inizialmente sembrava che il punto d’arrivo adatto del BRI fosse la Grecia, e così la Cina ha messo le mani sul porto del Pireo, che si è erroneamente rivelato troppo piccolo e limitato per le esigenze ad aspirazioni cinesi, rivolte adesso verso l’Italia.

L’abilità manifatturiera e lo stile italiano, per non parlare della moda e del cibo, sono apprezzati in Cina come dimostrano i vivaci rapporti commerciali tra i due paesi. Durante il suo soggiorno romano, Xi Jinping ha anche scritto (sul Corriere della Sera) una lettera per ricordare i legami amichevoli tra Cina ed Italia, la storia ultramillenaria che i paesi condividono, ripescando addirittura Marco Polo, simbolo quanto mai attuale di questa corroborata relazione.


Benchè il Made in Italy sia molto ricercato in Cina, dietro queste lusinghe si celano decisi interessi economici e commerciali e l’Italia deve stare attenta a non cedervi, come farebbe un adolescente ai primi sorrisi della compagna di banco sempre sognata. In realtà la Cina guarda all’Italia perché essa è geograficamente un punto strategico: in mezzo al mar Mediterraneo, il bacino dove sbucherà la Via della Seta, e spartiacque tra ovest europeo e Mitteleuropa. Quindi l’Italia si ritrova, ancora una volta, in mezzo allo scacchiere mondiale tra il blocco atlantico e quello orientale, che prima significava Unione Sovietica e oggi vuol dire Cina.

E’ necessario comprendere, e si teme che pochi politici lo abbiano colto, che l’Italia all’interno del BRI non è contenuto, ma piattaforma. Una volta giunte al porto di Trieste, le merci cinesi saranno in poche ore a Vienna, Berlino e Budapest ma anche a Zurigo e Parigi.


Ciò nonostante la Nuova Via della Seta rappresenta un’opportunità anche per l’Italia. Infatti, i prodotti italiani, come quelli cinesi, potranno viaggiare molto velocemente per tutta l’Asia, raggiungendo la popolazione cinese e mercati che al momento sono periferici. Il BRI è allora un progetto da cavalcare, ricordando due cose fondamentali. La prima sottolinea la necessità, per non dire obbligo, di mantenere la proprietà sulle infrastrutture italiane. Porti e linee ferroviarie vanno modernizzate e anche date in utilizzo ad imprese totalmente cinesi, pronte ad investire in modo massiccio, ma la sorveglianza italiana non può mancare su elementi strategici per il nostro paese, la cui titolarità è imprescindibile.


La seconda cosa, invece, ricorda che la Cina è un paese in cui il potere di un unico partito è largamente dominante e appoggiare o meno le idee di tale partito può condizionare molto il successo futuro. Inoltre l’Italia è membro fondatore dell’UE e della Nato.


Sarà fondamentale, quindi, sfruttare questa occasione della Nuova Via della Seta per migliorare ulteriormente i rapporti con la Cina e crearne di nuovi con tutti questi paesi che saranno attraversati dalla rotta commerciale, senza dimenticare il ruolo fondamentale dell’Italia in Europa e nel blocco Atlantico.

Nel suo percorso di espansione la Cina ha individuato l’Italia come partner fondamentale. Il nostro paese deve onorare e accettare questa investitura, senza però dimenticare dove hanno sede le nostre radici.


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