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Inginocchiarsi sul podio olimpico?

  • Alberto Chiumento
  • 7 lug 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 31 lug 2021

(Questo articolo è stato pubblicato su sportellate.it il 6 luglio 2020)

Il movimento “Black Lives Matter” raggiunge le Olimpiadi e può mettere in difficoltà il sottile equilibrio tra sport, politica e diritti civili.


Seppur in pausa a causa della pandemia, il mondo dello sport ha facilitato la diffusione del messaggio “Black Lives Matter”. Per questo era impossibile pensare che anche il CIO (il Comitato Olimpico Internazionale, ovverosia l’istituzione sportiva più prestigiosa al mondo), ne sarebbe rimasto escluso. Il Comitato olimpico americano ha, infatti, inviato una lettera all’ente organizzatore dei Giochi Olimpici per chiedere l’abolizione dell’articolo 50 della Carta olimpica.


Tra i 7 firmatari c’è anche John Carlos, proprio l’uomo che nel 1968 a Città del Messico alzò il pugno a sostegno dei diritti degli afroamericani e che oggi, all’età di 75 anni, non ha ancora smesso di lottare per la causa. Carlos, che con quel gesto è diventato il simbolo delle proteste per i diritti civili alle Olimpiadi, ha desiderato sottoscrivere il messaggio rivolto al CIO.


Nella nota si legge che è necessario abolire la regola perchè “il Comitato olimpico internazionale e il Comitato paralimpico non possono continuare a punire o rimuovere gli atleti che fanno sentire la propria voce affermando ciò in cui credono, specialmente quando queste convinzioni incarnano gli obiettivi dell’Olimpismo“.


L’articolo 50

La Carta olimpica è la “Magna Charta” delle Olimpiadi poichè racchiude i 7 principi fondamentali dell’Olimpismo, le regole del CIO nonché le norme per il processo di assegnazione e organizzazione dei Giochi. Essa è composta da 61 articoli ed ora il comitato olimpico americano, a cui si è unito quello canadese, chiede la cancellazione del cinquantesimo.

L’articolo, secondo cui “nessun tipo di dimostrazione o propaganda politica, religiosa o razziale è consentita in qualsiasi sito olimpico, sede o altre aree”, è in realtà oggetto di dibattito da diverso tempo poiché sancirebbe un limite di espressione per gli atleti.


La lettera inviata a Losanna ritiene anacronistica la norma in quanto “il movimento olimpico e paralimpico simultaneamente onorano gli atleti come John Carlos e Tommie Smith, mentre proibiscono agli atleti di oggi di ripercorrerne le orme“.


Con gli occhi di oggi questa norma sembra effettivamente superata. Siamo abituati a vedere atleti come Lebron James, David Beckham o Lewis Hamilton esporsi su temi sociali e politici con coraggio e disinvoltura. Tuttavia, il clima culturale in cui nascono i Giochi è diverso.

Essi hanno origine dalle Esposizioni Universali della seconda metà dell’800, nelle quali persone provenienti da vari paesi si trovavano per commerciare e ammirare lo stato dell’arte in vari ambiti. In questo pacifico confronto tra nazioni vennero presto inserite anche delle gare sportive. Inoltre, De Courbertin fu abile nel recuperare e riproporre i valori e i miti dell’Antica Grecia ponendoli a fondamento di queste nuove competizioni tra atleti.

Da questo contesto storico deriva l’articolo 50, che garantiva la neutralità necessaria alle nascenti istituzioni sportive. In successivi momenti storici questa norma ha però mostrato tutti i suoi limiti, trasformandosi in uno strumento di giustificazione dello status quo, come ad esempio nel periodo del nazismo.


Un equilibrio difficile

Per quanto sia privo di fondamento ed ipocrita, la rivendicazione dell’apoliticità dello sport è per le istituzioni sportive una forma di difesa imprescindibile” ricorda Nicola Sbetti, professore all’Università di Bologna e studioso del rapporto tra sport e relazioni internazionali.


Per questo “il CIO deve preservare l’arena sportiva da gesti esclusivamente politici, ma allo stesso tempo non può non riconoscere la possibilità agli atleti di manifestare in favore dei diritti umani“. “Condannare gesti che vanno a favore dei cosiddetti valori dello sport- continua Sbetti– sarebbe ottuso e retrogrado da parte delle istituzioni sportive, che non sono più quelle di 70 anni fa“.


Il CIO, dunque, si trova in una situazione piuttosto complicata in cui è facile commettere un passo falso. Quando le rivendicazioni degli atleti coincidono con i valori fondanti delle Olimpiadi e dello sport, come la lotta al razzismo e al sessismo, queste non possono certo essere condannate. Allo stesso tempo, chi governa lo sport si trova nella delicata posizione di definire il confine tra i gesti politici degli atleti e quelli a favore dei diritti civili.


Vista la complessità dell’argomento e l’urgenza di neutralità del movimento olimpico, per Sbetti “non è imbarazzante che l’articolo 50 rimanga poichè permettere qualsiasi gesto politico aprirebbe un vaso di Pandora difficilmente controllabile. D’altronde proibire atti politici è anche stato un modo positivo per includere tutti e non escludere nessuno“.


Esempio da seguire

Il procedimento seguito dalla Bundesliga per analizzare il comportamento di diversi suoi giocatori è forse passato inosservato in Italia, ma rappresenta un esempio virtuoso. In Germani 4 giocatori hanno espresso solidarietà verso la famiglia di George Floyd e vicinanza al movimento BLM, inginocchiandosi dopo un gol o mostrando un messaggio sotto la maglia.


I dirigenti della Bundesliga hanno quindi segnalato i gesti, aperto un’inchiesta per tracciarne la liceità e hanno poi deciso, in accordo con la FIFA, che non vi erano motivi per sanzionare queste azioni. Jadon Sancho, Achraf Hakimi, Marcus Thuram e Weston McKennie hanno, infatti, espresso “posizioni antirazziste che rappresentano i valori che la Bundesliga si impegna a trasmettere” hanno spiegato i responsabili del campionato.


A riprova di come oggi il CIO sia diverso da quello governato da Brundage che sorrideva al nazismo, il presidente Bach ha già affermato che una commissione di atleti olimpici è al lavoro per definire nuovi modi in cui “gli sportivi possano supportare i principi sanciti dalla Carta olimpica”.


Se il CIO punisse dei gesti politici in sostegno al movimento Black Lives Matter,  rischierebbe di apparire obsoleto e superato, ma allo stesso tempo non può certo permettersi che le Olimpiadi diventino una vetrina per le più disparate istanze politiche. “Mi aspetto da parte del CIO una decisione pragmatica – conclude Sbetti – del resto le Olimpiadi non sono già un compromesso tra valori cosmopoliti e spirito nazionalistico?



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