top of page

Il vero problema

  • Alberto Chiumento
  • 22 ago 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Le notizie arrivate nella tarda serata italiana di martedì 21 agosto hanno infuocato subito i telegiornali di tutto il mondo. Dagli USA a distanza di pochi minuti infatti sono giunti dei verdetti fondamentali da due processi: il primo in ordine di tempo è arrivato dalla Virginia, dove lo stratega della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, è stato riconosciuto colpevole di diverse accuse, tra cui frode fiscale e finanziaria, nelle indagini sul Russiagate portate avanti dall’inscalfibile Robert Muller.


Nemmeno 10 minuti dopo, a New York, Michel Cohen, avvocato di lungo corso di Trump, si è dichiarato colpevole di 8 capi di accusa. Il “fixer”, come viene definito dalla stampa americana (letteralmente l’aggiustatore), ha ammesso di aver pagato per conto di The Donald due donne per comprare il loro silenzio su relazioni amorose tra loro e il suo assistito e inoltre ha dichiarato di aver violato le norme sui finanziamenti in campagna elettorale.


Colpi duri da digerire per chiunque, che intaccano sia la figura pubblica di Trump sia la stessa amministrazione repubblicana in vista delle elezioni di Mid-Term, una sorta di verifica di fine quadrimestre per il governo in carica.

E’ necessario però porre l’attenzione su un aspetto spesso dimenticato: i dubbi e le incertezze, non solo legali, che avvolgono la figura di Trump sono noti da molto tempo.


Egli stesso li ha usati astutamente in campagna elettorale, prima come scudo per cementificare una base popolare molto vasta e, poi, come trampolino dal quale incominciare una rincorsa elettorale per ottenere gli ultimi voti degli indecisi, rivelatisi fondamentali nella vittoria del novembre 2016. Durante questo stesso periodo le accuse interne dal partito e da molte celebrità non hanno fatto altro che renderlo ancora più potente e determinato agli occhi dell’elettorato. Ed è proprio su questo che si deve riflettere: siamo sicuri che queste notizie interessino ai suoi sostenitori?


La corsa alla casa bianca contro Hillary Clinton, avversaria esperta e preparata come non si vedevano da tempo, è stata vinta dal tycoon newyorkese poiché ha raggiunto la pancia dei votanti, stanchi di delocalizzazioni industriali e del dumping cinese. Le statistiche hanno anche sottolineato come il suo atteggiamento abbia funzionato, ottenendo il consenso in quasi tutte le fasce di età.


Ma se un’astuta propaganda e una continua posizione di lotta contro l’establishment lo hanno portato a trasferirsi dalla Grande Mela a Washington, adesso che sotto il suo mandato l’economia e la borsa americana vanno a gonfie vele e il tasso di disoccupazione è prossimo, se non inferiore, a quello di disoccupazione naturale (4%), c’è da essere così sicuri che nel prossimo novembre gli elettori cambieranno la loro opinione per via di questi eventi giudiziari?





Commentaires


bottom of page